Spremuta n 1 far funzionare le cose

Spremuta #1

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Far funzionare le cose

Dario si sveglia in preda al panico. Sono le 2 del mattino e neppure oggi ha lavorato a quel maledetto progetto di scienze. La scadenza è domani. Una spiacevole sensazione di malessere lo attraversa.

Che poi a lui piacciono quelle cose lì, i pianeti e tutto il resto. In camera sua la parete più lunga è decorata con una gigantografia delle principali costellazioni. Ma perché proprio un progetto manuale! Costruire il sistema solare con delle palle di polistirolo e del fil di ferro li aiuterà a capire meglio la posizione dei pianeti, come si muovono, la loro dimensione, eccetera eccetera.

Sempre che ci riescano.

Gli altri sembrano essere tutti scultori. Luisa ha già finito da una settimana, Gregorio oggi faceva vedere a tutti le foto del suo sistema solare. Perfetto, persino dipinto in rilievo manco fosse un quadro da appendere in un museo. Facile quando hai una sorella iscritta a Belle Arti.

Ma Dario è figlio unico. Si gira di qua e di là sotto al piumone ripetendo all’infinito nella testa il discorso che avrebbe fatto l’indomani alla Prof. di Scienze.

“Non fa per me Prof. Lo sa che mi piacciono i pianeti e le stelle. Ho fatto persino l’abbonamento all’osservatorio da quanto mi piacciono, ma il progetto proprio non lo posso fare. Tanto a cosa serve, io lo so che come minimo ci stanno 38 milioni di Km tra la Terra e Venere. I numeri li so tutti, mi interroghi. Perché devo mettere le mani nella colla e dipingere?”

Sospira e si gira verso la porta. “È una cosa da bambini.”

“Mi dia 4. Mi dia 3.”

Deglutisce e si gira verso la finestra. Nella sua mente la Prof. arriccia le labbra e lo fissa con le braccia incrociate.

“Le regole sono uguali per tutti Dario. Non posso fare eccezioni. E poi un 3 rovinerebbe la tua media del 9, sei sicuro di non voler consegnare?”

Dario si tira su a sedere di botto scaraventando il piumone per terra. La testa gli gira per un secondo ma riprende il discorso con se stesso.

“Mi dia dell’altro tempo. Una settimana. No, due giorni mi bastano.”

Con le mani si strofina gli occhi. “Pagherò la sorella di Gregorio.”

Pian piano l’oscurità attorno a lui si fa meno avvolgente. La luce del lampione illumina la scrivania attraverso le fessure della persiana. Le palle di polistirolo, con la loro trama bianca puntinata sono abbandonate a loro stesse. Vicino a un rotolo di fil di ferro e un barattolo di colla.

Dario guarda l’ora sul telefonino. Sono le 2 e 44. La pancia brontola, stare sveglio fino a quell’ora gli ha aperto lo stomaco. Va in cucina e apre lo sportello per prendere i biscotti. Mentre la sua mano cerca il barattolo vede nella penombra, proprio accanto alla macchina del caffè, il cesto della frutta. Sua madre deve appena aver fatto la spesa perché è bello pieno. Frutta di ogni tipo. Posa il barattolo e chiude l’anta.

Prende un pompelmo e lo soppesa. Lo posa e prende un’arancia. Soppesa anche quella. Con pollice e indice solleva delicatamente un acino di uva scura senza staccarlo dal grappolo a cui è attaccato. Si ferma per un paio di minuti come rapito da un mondo parallelo, il barattolo dei biscotti è aperto ma Dario non sente più la fame.

Corre in camera e si getta in scivolata sul parquet. ” Deve essere qui da qualche parte”. Sotto al letto c’è di tutto, ma finalmente la trova. La scatola del monitor nuovo che ha ricevuto per il suo compleanno. La apre e tira fuori la tavola di polistirolo che proteggeva lo schermo. Sorride pensando che per buttare via c’è sempre tempo. Poi di corsa di nuovo in cucina.

Appoggia la base sul tavolo e apre qualche cassetto. Alla fine trova anche gli stecchi che d’estate i suoi usano per fare gli spiedini. Ora l’eccitazione gli dà alla testa e non vede l’ora di buttarsi nel progetto. Sceglie con cura i frutti che più assomigliano ai vari pianeti, fa qualche prova prima di infilzarli con gli stecchi, disegna le orbite con una matita ben appuntita. Quella parte non è difficile, i numeri per fare la proporzione li sa tutti. Alla fine sistema ogni pianeta sulla sua orbita e il sole al centro. Dario respira, finalmente soddisfatto. Nessun pennello. Niente colla sulle mani.

Va in dispensa alla ricerca di una scatola abbastanza grande, per fortuna ce ne sono ancora in giro per casa nonostante il trasloco sia stato fatto da mesi. “Questa dovrebbe andare”. Con cautela solleva il suo personalissimo sistema solare e lo adagia nella scatola, attento a non rovinarlo. Ora la stanchezza comincia a tormentarlo, Dario torna in camera trascinando un po’ i piedi. Con il gomito libera la scrivania e vi posa sopra la scatola. Le palle di polistirolo rotolano sul pavimento, una si infila sotto al letto.

Con un ultimo sforzo raccoglie il piumone da terra e vi si butta sotto raggomitolandosi.

 

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